La sveglia suona presto: oggi niente macchina, oggi si cammina!
Gianluca ha studiato la Lonely, compagna inseparabile di letto, con buona pace di Donata, oggi si sale verso il ghiacciaio! Effettivamente basta affacciarsi alla finestra e lo vediamo: l’Hoffeljokull sembra vicino. Non è la lingua più grande che scende dall’immenso Vatnajokull ma ci va più che bene.
La Lonely parla di un sentiero segnato che arriva fino alla piccola laguna alla base del ghiacciaio, con un po’ di fortuna cercheremo di avvicinarci fino a toccare il gigante freddo.
Decidiamo di percorrere i primi chilometri in auto, lungo la pista che attraversa la vasta piana di Hoffel sferzata da un vento gelido e fortissimo. Il viaggio si interrompe dopo pochi chilometri davanti al ponte sospeso che attraversa un vorticoso fiume che scende direttamente dal ghiacciaio, da qui si deve proseguire a piedi.
Il ponte è nuovo ma leggerino: due cavi di acciaio tesi tra le due sponde e una passerella in ferro che ondeggia paurosamente al nostro passaggio. Il vento fortissimo peggiora solo le cose facendoci mangiare una buona dose di sabbia.
Il sentiero praticamente non esiste, ci sono solo delle paline gialle che ogni 100 metri ci indicano la direzione. Scavalchiamo delle collinette e arriviamo al margine della modesta laguna creata dallo scioglimento del ghiaccio ma è evidente che da qui non si può proseguire. Le paline infatti proseguono sulla sinistra costeggiando il pendio roccioso. Decidiamo di fidarci e seguirle ma dopo poco anche questa traccia si interrompe all’imbocco di una seconda vallata solcata da un rumoroso torrente. Proviamo a seguire quello che somiglia lontana mente ad un sentiero e risaliamo la vallata fino ad un terrazzamento roccioso. Lo spettacolo davanti a noi è maestoso: il ghiacciaio è proprio davanti ai nostri occhi con la sua bianca parete, alla sua base fuoriesce il torrente che s’incanala subito nella stretta valle. Il vento è fortissimo ma il sole e il cielo azzurrissimo completano il quadro. Sarebbe da accontentarsi e tornare indietro ma ha Gianluca è salita la competitività e vuole andare avanti.
La salita si fa dura e il terreno friabile ma il nostro apripista ci conduce in cima stavolta abbiamo il fronte di ghiaccio sotto di noi, ci avviciniamo con cautela e finalmente siamo a tu per tu con gigante riusciamo finalmente a toccarlo. Sembra di avere davanti una montagna con valli canali, fiumi e cascate. La base e scura, sporca dei resti delle rocce macinate nel suo avanzare mentre le cime sono lucenti, a tratti trasparenti come montagne di cristallo.
Restiamo un po’ in contemplazione, quasi inebetiti da tale spettacolo, poi ci avviamo in discesa.
La via del ritorno non è semplice, bisogna ritrovare il sentiero sul costone, in basso il fiume ci indica la direzione approssimativa. Alla prima palina gialla tiriamo un sospiro di sollievo: da qui il susseguirsi di tracce ci riconduce al ponte sospeso e alla nostra auto. E’ ormai pomeriggio inoltrato perciò decidiamo di avviarci in paese per la spesa della cena.
Lungo la strada un cartello attira la nostra attenzione: non c’è scritto nulla, solo una freccia con simbolo di un uomo a bagno e un termometro. Dopo una rapida interpretazione confidiamo che stia ad indicare delle vasche termali piuttosto che dei grossi pentoloni per il bollito dei cannibali. Dopo un breve tratto di sterrato la nostra previsione si concretizza con una serie di vasche all’aria aperta con ingresso a offerta.
In un paio delle piccole piscine alcuni ragazzi (presumibilmente del posto) si stanno crogiolando al sole bevendo birra (rigorosamente light). Capiamo che sono del posto perchè sono in costume e fuori ci sono 12 gradi e un vento fortissimo. Ci fermiamo per una breve consultazione popolare e dopo aver saggiato l’acqua, decisamente calda, decidiamo di tentare l’esperienza.
Il problema è subito chiaro: il tragitto dal capanno-spogliatoio all’acqua e il ritorno. Il capanno è relativamente caldo, la piscina è caldissima, in mezzo 10 metri di pura tortura. Ci buttiamo in acqua ed evitiamo in ogni modo di esporci al vento mentre ogni piacere del bagno caldo è annichilito dal pensiero del tragitto di ritorno che infatti percorriamo ad una velocità tale che avremmo stracciato anche l’Husain Bolt più in forma.
Arriviamo al supermercato ma la mia voglia di avventura non si è ancora placata così mi ritrovo alla cassa un una confezione di Hakarl, il famigerato squalo putrefatto islandese. Leggo il terrore negli occhi dei miei compagni di viaggio ma sono convinto della mia scelta.
Nel piccolo bungalow l’apertura della scatoletta del mefitico squalo provoca già il terrore. Effettivamente l’odore non invoglia: un misto muffa, ammoniaca che scoraggerebbe anche i più avventurosi gastronauti ma ormai ci siamo quindi…
Il gusto in fin dei conti è meglio dell’odore, comunque pungente e sapido come un gorgonzola stagionato, molto stagionato. In bocca è un po’ viscido ma la consistenza è più fibrosa di quanto mi aspettassi, il retrogusto richiama invece all’ammoniaca che nel frattempo si è sparsa nell’aria. Alla fin non è così terribile come tutti lo descrivono e con un sorso della maledettissima birra light va giù anche bene. Opto per un secondo boccone mentre anche la Consu, vedendomi incolume, si fa coraggio e lo assaggia mentre gli altri due mantengono le dovute distanze e aprono al finestra per prendere un po’ d’aria.
Concordiamo entrambi sul fatto che ci saremmo aspettati di peggio e che dopo tutto lo squalo è comunque più buono del merluzzo essiccato che sta appestando la Fiesta…
Indirizzo: Unnamed Road, Islanda
Lat: 64.3949706770822
Lng: -15.333929368188478
Indirizzo: Unnamed Road, Islanda
Lat: 64.3949706770822
Lng: -15.333929368188478