Ci svegliamo con un bel sole. Ci guardiamo intorno e scopriamo che il posto dove siamo arrivati col diluvio della sera precedente si è trasformato in piccolo paradiso: il prato solcato dal ruscello i monti intorno incastonano il minuscolo villaggio di bungalow in legno in cui ci troviamo in un paesaggio da favola.
La poesia finisce subito al momento di preparare i nostri soliti panini e dopo una veloce colazione siamo già sulla strada con la nostra Fiesta all’aroma di baccalà…
Riattraversiamo “mordor” che nonostante il sole appare ancora come una landa desertica e inospitale e raggiunto l’asfalto della hringvegur tiriamo un sospiro di sollievo per aver salvato pneumatici e sospensioni.
Dirigendoci ancora a est incontriamo la prosecuzione della suddetta mordor. Una spianata di un centinaio di chilometri senza nessuna traccia umana all’infuori del nastro d’asfalto della ring road. A una certa distanza dalla strada scorgiamo i resti un ponte: i piloni di metallo (o quel che resta) sono letteralmente piegati e rivoltati in aria mentre intorno sono ben visibili delle grandi rocce che sembrano arrivate lì in volo. Leggendo l’inseparabile Lonely, Gianluca scopre che tutta l’area è stata oggetto di un’eruzione vulcanica nel 1996. Il calore del vulcano ha sciolto la coltre ghiacciata provocando uno jökulhlaup, ovvero un’onda d’acqua, pietre e iceberg che ha spazzato tutta la piana sottostante fino al mare distruggendo ponti e ogni opera umana.
Decidiamo di lasciare l’asfalto e fare una piccola deviazione per raggiungere il canyon di Fjaðrárgljúfur una stretta fenditura scavata nel tempo dallo scorrere del fiume che ha creato curiose formazioni rocciose e diverse cascatelle. La strada imboccata è la stessa che porta fino al vulcano Laki: famoso per il panorama che si gode dalla sua cima su una vasta pianura solcata da decine e decine di piccoli coni vulcanici. La tentazione di inoltrarci sullo sterrato è tanta ma i cartelli parlano chiaro: la presenza di guadi e le condizioni generali della pista di oltre 60 chilometri non sono adatte alla nostra utilitaria. Dobbiamo perciò rinunciare a malincuore.
Raggiungiamo il minuscolo villaggio di Kirkjubaejarklaustur (provate a pronunciarlo se ci riuscite) per una sosta merenda e carburante. E’ praticamente l’unico centro abitato, degno di questo nome, nel raggio di quasi 200 chilometri. Da qui riprendiamo la hringvegur verso la meta principale della mattinata: il parco nazionale di Skaftafell e la cascata di Svartifoss.
Con un breve trekking raggiungiamo quella il cui nome significa letteralmente cascata nera. Il perchè è facile da capire: l’acqua scende da un’imponente parete di basalto nero con un salto modesto rispetto ad altre, di appena 12 metri ma la particolarità delle formazioni rocciose ne fa una delle più visitate del paese. Dalla cascata proseguiamo a piedi, prima a ritroso poi sul sentiero che sale a sinistra e conduce ad un punto panoramico da cui ammirare lo Skaftafelljokull, la lingua di ghiaccio che scende dall’immenso Vatnajokull, il ghiacciaio più grande d’Europa. Con una passeggiata relativamente semplice riusciamo ad affacciarci su uno sperone di roccia proteso sul ghiacciaio e sulla piccola laguna formata dal suo scioglimento. (Questo è il punto migliore da cui osservarlo. Se vi trovate in zona evitate il sentiero in basso perchè assolutamente inutile o le costose gite con le guide).
La discesa avviene sul sentiero che conduce direttamente al centro visitatori dove ci concediamo una sosta a base di fish & chips.
Riprendiamo l’auto e la statale 1 che da ora in avanti fiancheggerà costantemente il Vatnajokull arrivando a lambirlo alla base delle numerose lingue di ghiaccio che scendono dalle montagne.
La calotta ghiacciata copre una superficie di circa 8000 chilometri quadrati e, otre ad essere la più grande d’Europa per volume (seconda in espensione dopo quella dell’isola norvegese di Nordaustlandet) è la quarta massa di ghiaccio nel mondo dietro a quelle di Antartide, Groenlandia e Patagonia. Al di sotto di essa, celati da una coltre gelata che va dai 400 ai 1100 metri si nascondono numerosi vulcani attivi e la vetta dell’Hvannadalshnjúkur (2.119 m), la più alta d’Islanda. Vetta che scorgiamo chiaramente dalla hringvegur a pochi chilometri dalla costa.
Sempre originata dal grande ghiacciaio la Laguna di Jokursarlon si presenta a noi in tutto il suo splendore. Lo specchio d’acqua ha avuto origine nel corso degli anni 30 del 900 a causa del ritirarsi dei ghiacci e da all’ora è cresciuta di dimensioni fino agli attuali 18 chilometri quadrati. Gli Iceberg che si staccano dalla lingua di ghiaccio galleggiano placidi nella laguna finchè rapiti dalla corrente attraverso uno stretto canale naturale raggiungono l’oceano. Alcuni prendono il largo ma i più piccoli, la maggioranza, vengono sospinti dalle onde sulla spiaggia dove restano a morire offrendo ai turisti uno degli spettacoli più belli che la natura possa presentare: la lunga spiaggia nera di pietra lavica è disseminata di piccoli blocchi di ghiaccio bianchissimi dalle forme più strane che colpiti dal sole brillano creando una magia unica.
La laguna è anche molto affollata di turisti in fila per salire sui rumorosi mezzi anfibi che entrando in acqua consentono una breve navigazione intorno agli iceberg. Decidiamo che la cosa non fa per noi e optiamo per qualcosa di più avventuroso nella vicinissima laguna di Fjallsarlon più piccola e decisamente meno frequentata.
Qui ci rivolgiamo alle guide che per un prezzo ragionevole ci forniscono di ingombranti giubbotti termici e salvagente e ci caricano su un piccolo gommone per un incontro ravvicinato con il ghiaccio. Il gommone decisamente più piccolo e maneggevole dei mezzi anfibi si avvicina così tanto da poter toccare il ghiaccio, bianchissimo in alcuni punti mentre in altri è azzurro, quasi trasparente e levigato. Il nostro accompagnatore poi ci porge un pezzo di ghiaccio e ci invita ad assaggiarlo dicendo che l’acqua di cui è composto è purissima e risale a diverse centinaia di anni. Ci fidiamo e assaggiamo e incredibilmente sa di ghiaccio…ovvero di nulla… il tipo sembra contento, noi sorridiamo annuendo convinti che sia l’unica cosa da fare.
Ripartiamo verso l’arrivo di giornata nel villaggio di Hofn che significa semplicemente porto e secondo la Lonely si pronuncia aspirando la o come in un singhiozzo improvviso…tentiamo…il risultato non ci soddisfa in più rischiamo l’asfissia…l’islandese è difficile…
A Hofn un supermercato ci consente di ricaricare le scorte alimentari ma per la cena decidiamo di meritarci un bel pasto islandese. La scelta cade su un simpatico locale in legno il Kaffi Hornid. Dalla finestra si vede la piscina del paese, ovviamente all’aperto. Sono le sette di sera c’è il sole, 12 gradi e un vento gelido che scende dal ghiacciaio. I bambini si tuffano dagli scivoli in totale noncuranza…noi all’interno fatichiamo a togliere strati di vestiario…restiamo qualche minuto in silenzio a guardarli. Ogni commento è superfluo.
Ordiniamo qualcosa di tipico: io mi butto su agnello e scampi (specialità del posto) con patate e rapa rossa. Sarà la stanchezza o i bimbi in piscina ma è tutto ottimo: l’agnello è morbido e saporito e gli scampi in pastella si abbinano perfettamente. Da bere invece non ho dubbi e rimanendo in tema ordino una birra Vatnajokull, realizzata con l’acqua estratta dal ghiacciaio e aromatizzata al timo artico. Leggera, profumata e dissetante, decido che vale i 15 euro spesi e ed esco davvero soddisfatto.
Ci ritiriamo nel nostro bungalow di legno alla fattoria Lambhus a qualche chilometro da Hofn mentre il vento si fa più forte. Siamo stanchi ma la giornata è stata emozionante e non ah tradito le aspettative. Gianluca intanto studia la Lonely…il ghiacciaio e vicino, quasi ci sfida a raggiungerlo…
Indirizzo: Höfn, Islanda
Lat: 64.24970259999999
Lng: -15.202007600000002
Indirizzo: Höfn, Islanda
Lat: 64.24970259999999
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