I Racconti Dello Stomaco

Il mondo con gli occhi e la fame di un gastronauta

#raccontisullarouteone: stage 2

Da Reykolt a Thakgil

Partiamo al mattino presto da Reykolt dopo aver preparato un i panini che saranno la costante dei nostri pranzi islandesi: prosciutto cotto e formaggio con saltuarie incursioni di insalata e pomodori, da veri gourmet.

Il cielo è sereno, la temperatura mite, la strada che ci aspetta è lunga. Ci lasciamo alle spalle il Circo d’oro dirigendoci a sud fino a ritrovare la hrinvegur per poi proseguire a est lungo le praterie che occupano la parte sud ovest dell’Islanda. Attraversiamo alcuni paesini che sembrano sorti attorno alle stazioni di servizio della ring road. Approfittiamo di un supermarket un po’ più fornito per fare un po di spesa. Per il piacere dei miei compagni di viaggio acquisto una confezione di merluzzo essiccato tanto per avere subito un impatto col profumatissimo cibo tradizionale islandese.

La consistenza è quella del compensato e solo dopo una lunga masticazione inizia a dare segni di cedimento. Il sapore è quello classico del baccalà secco. Viene difficile capire come facevano in passato a considerarlo un sostituto del pane. Fingo di apprezzare e ne porgo ai miei compagni di viaggio che cordialmente rifiutano…

La pianura sembra una tavola senza fine almeno fin quando iniziamo a scorgere le prime montagne davanti a noi e con loro la prima tappa della giornata.

A guardarla da lontano la cascata di Seljalandsfoss non sembra niente di che, specialmente rispetto allo spettacolo offerto il giorno prima da Gullfoss. Ma, una volta vicini capiamo perchè è così famosa: dall’altopiano sovrastante (che un tempo era la scogliera oceanica) l’acqua fa un tuffo di circa 60 metri in un piccolo lago mentre un sentiero che sale su fianco destro permette ai visitatori di goderne lo spettacolo da dietro alla cascata. Come in un film d’avventura ci inerpichiamo sullo stradello fino alla cavità rocciosa nascosta dietro il getto d’acqua. Da qui lo spettacolo è stupendo: attraverso la cascata si ammira l’enorme pianura sottostante su cui scorre placido il fiume Seljaland mentre l’aria intorno si anima di arcobaleni generati dalla nebulizzazione delle acque.

Seguiamo il sentiero che costeggia la parete rocciosa solcata da altre piccole cascate e dopo poche centinaia di metri ci infiliamo nello stretto canyon formato dalla cascata di Gljufurarfoss. Per vedere la cascata si deve attraversare lo strettissimo ingresso mettendo i piedi nel fiumiciattolo fino a raggiungere l cascata vera e propria che scende fragorosa nell’angusta gola. Non è comodo ma ne vale assolutamente la pena.

Riprendiamo la hringvegur fatti pochi chilometri incontriamo un tabellone che ricorda l’eruzione del vulcano Eyjafjallrjokull, un nome impossibile da pronunciare che, nel 2010, fu sulla bocca di mezza europa a causa delle sue ceneri che mandarono in tilt il traffico aereo continentale per qualche settimana. Gli islandesi sembrano quasi fieri dell’evento: per una volta la piccola e lontana Islanda ha condizionato e lasciato a terra tutta l’Europa.

Dell’eruzione non si scorgono tracce dalla strada: il vulcano se ne sta placido sullo sondo nuovamente ricoperto da un’altra coltre di ghiaccio pronto, chissà quando, a farci un nuovo dispetto.

Il nostro tour prosegue al cospetto della maestosa cascata di Skogafoss creata proprio dalla acque generate dal ghiacciaio del vulcano. Ci avviciniamo alla base del salto inondati di acqua nebulizzata. Il rumore è fortissimo, lo spettacolo unico. Dopo qualche minuto in contemplazione decidiamo di salire i quasi 700 gradini che raggiungono il culmine della cascata. Dall’alto la visione è straordinaria: la cascata illuminata dal sole genera sfavillanti arcobaleni mentre sullo sfondo si può ammirare la vasta pianura che un tempo era il fondo oceanico e ancora più lontano il mare aperto.

La lunga salita dei gradini sono un’ottima barriera contro i flussi turistici: in cima arrivano poche decine di persone. Da qui parte un percorso che risale il fiume Skogaa verso il ghiacciaio. Decidiamo di avventurarci per un po’. Dal sentiero ammiriamo il canyon fluviale, numerosi salti minori e rapide, dietro di noi il mare e davanti i monti coperti di nevi perenni. Uno spettacolo incredibile, l’Islanda ci ha conquistati!

Dopo una breve sosta a base dei panini dal dubbio sapore di cui tristemente ho già detto  e un primo avvilente approccio con la birra light islandese che ci perseguiterà per il resto del viaggio (e della quale parlerò in seguito) affrontiamo un altro breve tratto di ring verso est diretti alla spiaggia di Solheimasandur.

Spiaggia? Questa assomiglia più ad un deserto: una distesa di pietrisco nero, spoglio e sferzato dal vento. In mezzo a questa landa desolata si trova uno dei pochi siti che possono essere considerati “storici” in Islanda, ovvero opera dell’uomo e non della natura, anche se parlare di “storico” per il relitto di un aereo militare americano precipitato negli anni cinquanta sembra quasi blasfemo. Dalle foto viste in rete però il posto sembra davvero suggestivo perciò decidiamo di incamminarci…

In lontananza si scorge il mare, il relitto non si riesce a vedere ma valutiamo a occhio la distanza dal mare in un paio di chilometri al massimo… Mai valutazione risulterà più errata! Lo sgangherato cartello sistemato all’inizio della pista parla chiaro: 4 chilometri all’aereo e se tanto mi da tanto altrettanti da li al mare. Sapevamo che non sarebbe stato facile perciò non ci scoraggiamo e dopo una passeggiata quasi piacevole atterriamo anche noi in un altro pianeta: quel che resta dell’aereo è lì: una carlinga squarciata con le ali troncate appena oltre i due motori a turbina. Metallo bianco adagiato sul suolo nero. Sembra il set di un film di fantascienza con i resti di un astronave schiantata su un lontano pianeta inospitale.

Riprendiamo il viaggio verso il campeggio Thakgil la strada è ancora lunga e nuove emozioni ci attendono.

La penultima sosta di giornata è alla celebre scogliera basaltica di Reynisfjara Beach. Qui squadrate colonne nere di basalto formano una delle coste più suggestive del mondo. Formazioni geometriche che sembrano vestigia di antiche civiltà ma che in realtà sono il frutto delle numerosi eruzioni vulcaniche della zona.

Sopra di noi volteggiano centinaio di gabbiani ma in mezzo a loro scorgiamo chiaramente le sagome più tozze delle pulcinelle di mare(Puffin), uccelli simbolo dell’isola.

E’ quasi ora di cena il nastro d’asfalto della hringvegur scende verso il paesino di Vik mentre una coltre di nuvoloni neri e minacciosi ha oscurato il sole ancora alto. Vik, pur essendo la principale cittadina della zona (più che altro è l’unica per chilometri) è un modestissimo centro di pescatori dominato dalla classica chiesetta islandese bianca col tetto rosso che svetta sul colle sopra il villaggio.

Ceniamo in un’osteria con una buona zuppa di pesce, gustosa e appagante comprendente salmone, merluzzo e crostacei insieme ad una birra non light per fortuna.

Decidiamo di non soffermarci troppo in paese e affrontiamo gli ultimi 20 chilometri con la sensazione che non saranno semplici…il navigatore ci da un sinistro tempo di percorrenza di oltre 40 minuti (che sarebbero un’enormità rispetto alla velocità di crociera tenuta fin’ora). L’inizio della strada per Thakgil mette subito in chiaro le cose: mancano 16 chilometri e l’asfalto è già un lontano ricordo e per non farci mancare nulla si è messo a piovere di brutto.

Altro che strada: siamo su una pista di roccia lavica con pozze e pietrisco che sale sui colli al di sopra di una vasta distesa di lava solcata da rigagnoli d’acqua e solfatare che simpaticamente battezziamo Mordor (il paragone con la terra desolata della saga del Signore degli Anelli calza a pennello). La nostra Fiesta arranca su pendenze che superano abbondantemente il 10% e che terminano con dossi ciechi oltre i quali avanziamo più per la speranza che per la visibilità. Un traballante ponte in legno ci consente di superare un fiume sulfureo mentre dai sedili posteriori arrivano folate d’ansia. La vallata si stringe fino allo slargo dove sorge il campeggio, un piccolo paradiso dopo le pene patite lungo la strada.

Due piccoli ruscelli scendono dalla montagna attraversando il prato su cui sorgono i cottage in legno ai quali si accede attraversando un grazioso ponticello. Lo scenario è da favola e quasi stona con l’avventura appena vissuta, citando ancora Tolkien sembra si essere arrivati nella Contea degli Hobbit.

Più che stanchi siamo distrutti, le citazioni iniziano a farsi scadenti e la temperatura è piuttosto bassa. Ci ripariamo nel caldo e accogliente ambiente in legno del nostro cottage e crolliamo nel letto.

Indirizzo: Kerlingardalsvegur, Islanda

Lat: 63.53001064194601

Lng: -18.887509335351524

Indirizzo: Kerlingardalsvegur, Islanda

Lat: 63.53001064194601

Lng: -18.887509335351524